di Matteo Licari
Qualche tempo fa l’incipit a effetto di questo pezzo avrebbe potuto essere: “Piccoli artisti crescono”. Or non è più così. Gli artisti sono già cresciuti e se ci fosse consentito di riconoscere “Tocco e alloro”, l’avremmo già consegnato con un bacio in fronte e un giro in bicicletta! I titolari di questa personale “Alma Laurea” sono gli artisti e i tecnici della Compagnia Teatro delle Nevi che lo scorso fine settimana hanno deliziato al Teatro Grotta Smeralda di Catania il loro numeroso e affezionato pubblico con una commedia dal titolo immaginifico: “Il Cappello di Carta” di Gianni Clementi. Già la scelta in sé è una scelta felice. Gianni Clementi è un drammaturgo contemporaneo poco conosciuto dalle nostre parti, ma sempre più rappresentato in Italia (e ora anche all’estero) perché forse (c’è da sperare!) con lui si potrà rompere il digiuno italiano dei grandi drammaturghi che risale al 1937, anno della morte di Luigi Pirandello. La poetica di Clementi non è solo legata alla attualità del sentimento e delle vicende umane, ma rivisita con successo espressivo e di immagine temi “classici” del teatro universale allo stesso modo, suppergiù, dei grandi autori del teatro statunitense della prima metà del XX secolo (Tennessee Williams, Arthur Miller), con risultati davvero sorprendenti apprezzabili in quasi tutti i suoi lavori da “Sugo Finto” al “Cappello di Carta” appunto, che è la storia comica e drammatica al tempo stesso di una famiglia romana in origine, ma siciliana nella trasposizione di Rodolfo Torrisi adattatore, traduttore, regista e capocomico del “TdN” (Teatro elle Nevi), dal 19 Luglio al 16 Ottobre 1943 nella Roma occupata dai tedeschi. Piccola storia di gente comune che si mescola con la storia con la Esse maiuscola in una altalena di drammatica, sofferente comicità cui Torrisi ha voluto aggiungere all’ottimo testo di Clementi – per strizzar l’occhio al suo pubblico e darci ancora una volta un segno della sua abilità drammaturgica – la contestualizzazione culturale siciliana a cominciare dai personaggi e dalla lingua fino alle dinamiche di gruppo della famiglia protagonista del dramma giocoso sicilianamente caratterizzate. A parte qualche necessaria forzatura e qualche concessione all’oleografia, l’operazione è riuscita e il pubblico ha gradito. Gli attori Angela Barbagallo, Liliana Biglio, Gaetano Cittadino, Guido Franco, Maurizio Panasiti, Chiara Valentino e lo stesso Rodolfo Torrisi sono stati tutti all’altezza del compito singolarmente e come collettivo; e se, di tanto in tanto, s’è notata qualche immaturità espressiva, dall’altro s’è assistito ad autentici pezzi di bravura. Una maggiore attenzione al trucco, forse avrebbe reso meglio la corrispondenza anagrafica tra gli attori e i personaggi; tecnicamente perfetta è stata la danza delle numerose entrate ed uscite (segno di un’ottima direzione di scena), e del susseguirsi delle battute. Notevoli e condivisibili le invenzioni registiche di Torrisi, chiave autentica dello sforzo corale riuscito e del complessivo successo della piéce. E’ un vero peccato che non siamo a nel West End di New York, a Broadway dove gli spettacoli si replicano per mesi e anni, a volte. Questo l’avremmo rivisto volentieri.